Ma il Lavoro, c’è o manca ?

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Spesso, istintivamente, si associa l’aumento del tasso di disoccupazione al cattivo andamento dell’economia; talvolta i media usano risultati statistici con finalità poco nobili di influenza su taluni ceti.
Il tasso di occupazione misura il rapporto tra occupati e popolazione; ma nella popolazione ci sono le fasce giovanili ed anziane che lavorare non possono e valutarle non è semplice; se dicono che il tasso di occupazione è diminuito si percepisce una negatività perché immaginiamo che il tasso di disoccupazione sia salito.

Errore, perché il tasso di disoccupazione non è il complemento a cento del tasso di occupazione; è formato dal rapporto tra le persone in cerca di lavoro e la forza lavoro che è data dalla sommatoria di disoccupati ed occupati. Ben si comprende come numeratore e denominatore non siano di facile misurazione, per cui il tasso può “muovere” ma non essere rappresentativo di una situazione reale.
Sempre istintivamente pensiamo che in presenza di un elevato tasso di disoccupazione sia semplice ed immediato reperire manodopera da far lavorare; ciò anche senza approfonditi studi su Marx o Keynes ed il serbatoio costituito “dalle braccia di riserva”.

E qui arriva una smentita: ristoratori che non trovano camerieri, uffici che non trovano contabili, officine di artigiani non trovano tornitori o altre figure. Le statistiche ci dicono che una ricerca su cinque è disattesa.
Alla smentita segue una prima delusione: i candidati che sostengono i colloqui hanno profili curricolari incompleti e non coincidenti con le esigenze del datore di lavoro, per cui hai lavoratori non completamente formati e con neanche più l’età per ricorrere a strumenti agevolativi che consentano di completare la formazione. Queste situazioni sono spesso figlie dell’insipienza del lavoratore che si adagia all’esistenza del “posto di lavoro” senza riflettere sulla sua carriera e sulla costante valutazione dell’accoglienza nel mercato del proprio profilo.
Poi, una seconda delusione: in coda al colloquio (se non è richiesto addirittura al telefono al primo contatto) le fatidiche domande con altrettanti punti interrogativi; quanto si prende, l’orario di lavoro, possibile un part-time, il week-end è libero (questo me lo sono sentito chiedere anche quando si stava cercando un addetto sala per le giornate di venerdì, sabato e domenica). Domande legittime ma che sottendono più alla ricerca di un posto che di un lavoro.

L’imprenditore che cerca collaboratori, oltre che a mani vuote, rimane infine attonito quando nei colloqui sente affermare che l’inglese o l’informatica o la contabilità (da chi non li possiede) si impara in due giorni; ma più che attonito rimane allibito quando sente il candidato ragionare con cinica freddezza “se sto a casa, con la disoccupazione, mi conviene di più” e magari non ha aggiunto, per pudore, “così lavoro in nero”. Se così è con la NASPI, l’effetto si moltiplicherà con il Reddito di Cittadinanza.
Questo imprenditore non cerca scienziati o professori universitari ma normali profili di lavoratori: contabili, camerieri, autisti, cuochi, operai, programmatori e così via. Ricordo che un capo del personale, una volta, mi confidò: chi disprezza il lavoro deve sapere che prima o poi il lavoro si vendica.

La conclusione è che il lavoro c’è: sono i lavoratori che mancano. Qui il tema diventa un altro e non è questa la sede per affrontarlo; le soluzioni ci sono e non poche, ma lasciamole alla prossima riflessione.

 

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